NOI NON RIPOSEREMO MAI

NOI NON RIPOSEREMO MAI

Che accidenti può fare un poeta in una città di bersaglio per anni e anni? Vivere, prima di tutto, e di questo gli è grato il mondo: un poeta in meno da piangere, ma poi scrivere perché il resistere non sia solo il residuo di una tenacia ma la materia prima del canto. I poeti possono così salvare il dolore, il loro e l’altrui, impedirgli di aggiungersi alle macerie. Quando più aspra è la necessità, penuria, freddo, lutto, pericolo, più di un generale serve un poeta. Se un frammento, una scheggia di pena entra in un libro, tutto il dolore non è stato solamente spreco. Il posto del poeta è in una città fucilata più che sotto un balcone a suggerire frasi a un innamorato. Chi ha vegliato durante le notti per impedire l’arresto del cuore del mondo? I poeti, i pittori, i suonatori e tutti i saltimbanchi dallo spirito indomito di un popolo. I viveri diventavano le serate di musica e il rossetto sulla bocca delle donne affamate.

La cosa più importante quando cominciammo a scrivere, non era tanto creare versi quanto nei versi riabilitare l’amore. Su tutto quanto ci circondava aleggiava l’ombra della guerra passata. Dovevamo per noi stessi e per la gente intorno a noi riscoprire la bellezza delle mattinate d’inverno e il valore di un sorriso dal finestrino del treno. Dovevamo riabilitare tutte le parole dell’uomo perché da coltello fino ad erba tutte erano macchiate di sangue. Scrivere una poesia era la stessa cosa che piantare una betulla in un parco a venire o mettere un campanello ad una porta (…)»

Izet Sarajlic – “Lettere fraterne” – Dante e Descartes 2007  

disegno di  Cosimo Miorelli

 

AI MIEI "COLLEGHI"…ogni volta che dico "collega", Francesco Villano rabbrividisce….Ciao a tutti miei cari! Spero di rivedervi presto.E buona festa della donna a tutte.(video numero 1)Ocio!…ho detto video numero 1!…..info:www.aidatalliente (vedi blog)

Pubblicato da Aida Talliente su Domenica 8 marzo 2020

Il luogo Sacro

Un pensiero per me e per tutti quelli che, da sempre, fanno questo mestiere. Dopo un anno di lavoro e più, per costruire un nuovo spettacolo, per portare avanti una ricerca nel modo più coerente possibile, per mettere insieme i pezzi, per far girare le cose, per far suonare tutte le varie parti insieme in modo armonico, ecco che, prima di incontrare finalmente il pubblico, non sono più sicura di niente. Non che io lo sia mai stata, né tanto meno affezionata a ciò che di volta in volta si trova sul palco. Un grande desiderio, questo sì, di parlare a qualcuno che è lì con me per vivere un’esperienza. Ma…da un po’ di tempo…sempre più, mi sfugge quello che accade in platea. Mi sfuggono gli occhi, i pensieri, i gusti, la qualità d’ascolto del pubblico. Ciò che prima mi era famigliare, sta diventando criptico, incomprensibile, pericoloso. A volte pare che le cose vengano fatte per piacere a qualcuno e non più nella libertà di andare a cercare altri linguaggi, modalità sconosciute, osare uscire da schemi precisi o più semplicemente, sentire qual’è la voce più urgente dentro di sé. Il pubblico parla, parla sempre di più e critica. Spesso critica a vanvera dopo aver staccato più volte gli occhi dal palco per guardare il telefono preso da chissà quali irrinunciabili impegni. Critica a vanvera perché non gli è chiaro che quello spazio è uno spazio di rito e che dunque va rispettato. E questo vale anche per molti colleghi, che si comportano allo stesso modo perché non è stato insegnato loro che quello è spazio rituale. E penso anche…non sono le storie che riportiamo sul palco a toccarci e a commuovere, ma la precisione, la generosità, la pulizia dei movimenti, la fatica tradotta in bellezza, di chi, in quel momento, è il tramite di una storia. Sulla scena bisogna danzare. Danzare con il corpo, danzare stando fermi, danzare con le parole, con i silenzi e trovare tutti gli strumenti possibili per imparare a farlo. Cercarli sempre, non stancarsi, non fermarsi. Molto spesso le voci esterne possono scoraggiarci nel nostro lavoro ma credo che quando si è coerenti fino in fondo, molte parole dette senza la comprensione reale del processo creativo, possono essere taciute.  Penso al mio mestiere costantemente e le immagini che mi vengono negli anni sono sempre le stesse; quelle che mi hanno insegnato i miei maestri (dei buoni maestri) e quello che mi ha insegnato la vita vissuta fin’ora e le persone che ne fanno parte: teatro come spazio di incontro tra chi lo fa o con le persone che s’incontrano nella quotidianità e di cui si raccoglie la storia. Teatro come luogo di pensiero dove officiare un rito comunitario. Teatro come mestiere sociale, per poter parlare, discutere, riportare, presentare, riflettere. Teatro come luogo di bellezza, perché ciò che si costruisce sia bello non solo per il  messaggio riportato ma bello da vedere, perché vi è cura in ogni parte. Teatro come esempio di resistenza perché è fatto da un’ umanità che non può restare indifferente dove non c’è giustizia. Teatro come mestiere da rispettare perché troppe volte accade che il proprio lavoro non venga considerato, pagato, supportato nella giusta misura in cui si è disposti a lavorare oltre le 12/15 ore al giorno per mesi, pur di trovare qualcosa che abbia senso. Teatro che commuove come ogni forma di arte pura perché  chi lo fa, lo fa seriamente, con professionalità, con cura, con cuore. Teatro come luogo di memoria che serve a guardare avanti. Teatro che deve essere il luogo di chi fa questo mestiere perché lo ha scelto come traccia per la propria vita, perché ha studiato per farlo, perché si è preparato,  perché  ha ricevuto i suoi no, perché ha sopportato, perché può parlare con cognizione di causa quando quello che racconta sul palco risuona dentro di sé poiché attinge a esperienze personali. Non è e non sarà mai il  luogo di chi s’improvvisa teatrante da un giorno all’altro. Poco tempo fa una mia amica mi ha detto: “Sai, il teatro mi fa male nonostante io lo ami e mi capita di non emozionarmi più”. Alla mia amica (che capisco profondamente) dico; che il teatro quando è fuori  da macchine produttive e distributive stritolanti, non fa male…anzi…è il più bel modo esistente al mondo per tuffarsi dentro l’essere umano. E che, sì…ci si può ancora commuovere se chi sale sul palco sa dove sta andando, cosa sta facendo senza il bisogno di mostrare niente ma lasciando guardare ciò che gli accade profondamente.

Aida. 22/23 febbraio ore 21.00 Il Vangelo delle Beatitudini – Teatro S. Giorgio (Ud)

il nuovo progetto sulla speranza e il Vangelo delle Beatitudini

terza residenza di un percorso iniziato ormai 8 mesi fa…

 

“Speranza non è una parola

non abbiamo che lei

facciamola diventare mani, occhi, rabbia

e vinceremo la paura”

 

drammaturgia di Aida Talliente

con Aida Talliente

proiezioni analogiche/suono Hybrida

live painting Cosimo Miorelli

disegno luci Luigi Biondi

produzione Aria Teatro – Teatro di Pergine / C.S.S. Udine

 

 

 

 

“In ogni uomo vi è qualcosa di sacro ma non è la sua persona e neppure la persona umana. E’ semplicemente lui, quell’uomo nella sua interezza. Braccia, occhi, pensieri, tutto. Non arrecherei offesa a niente di tutto questo senza infiniti scrupoli. Che cosa mi impedisce di fargli del male? Il fatto di sapere che se qualcuno gli arrecasse del male, la sua anima sarebbe straziata dal pensiero che gli viene fatto del male”.

Simon Weil

 

Il bene è l’unica fonte del sacro. Solo il bene e ciò che è relativo al bene è sacro. Ci sono zone buie del cuore, quelle zone in cui risiedono paure a cui e sempre così difficile dare un nome. Lì si trova la fragilità; in quello spazio vuoto dove il nostro essere intero, integro, rischia di sgretolarsi, dividersi, frammentarsi quando viene a contatto con un dolore troppo grande. In coloro che hanno subìto troppi colpi, quella parte del cuore che grida per il male inflitto, sembra aver perso la fiducia, la luce, sembra morta. Ma non lo è mai del tutto. Semplicemente non può più gridare, è bloccata in un gemito sordo e ininterrotto. Occorre dunque uno spazio perché questo grido flebile e maldestro possa farsi udire. Occorre uno spazio in cui poter sperare.

C’è un disperato bisogno di sperare e parlare di Speranza. Sentire questa parola, vederla attuata in azioni concrete, cercarla, gridarla.

Mai come ora è tempo di Speranza, di abitare il Bene, di abitare il Sacro, in ogni momento del giorno, in ogni luogo del mondo, in ogni storia di uomo. E mai come ora è tempo di riappropriarsi di un linguaggio alto, evangelico, elaborarlo e allontanarlo dagli equivoci di una religione patriarcale e lasciare che il lirismo e la poesia di alcune parole, si facciano carne, diventino esempi concreti attraverso le storie degli uomini, diventino azione.

Scelgo così, di iniziare la ricerca partendo da un terreno letterario e spirituale pieno di bellezza, per mio conto molto attuale e ricco di possibilità immaginarie ed evocative: “Il Vangelo delle Beatitudini”. E lo scelgo come fosse una lettera al mondo. Una lettera alle persone; a quelle conosciute e a quelle sconosciute. A quelli che piangono, a quelli che hanno fame e sete di giustizia, a chi è misericordioso, a chi è perseguitato, a chi opera per la pace, a chi si sente come una frattura nel mondo, a chi è vicino, a chi non tornerà più, a chi ha bisogno di sperare un’intensa e furiosa speranza come diceva D. M. Turoldo.

Decido di iniziare un percorso di ricerca parlando, prima di tutto, proprio con persone che vivono condizioni di vita particolari, al limite, in cui la Speranza sembra non esserci più: carcerati, malati terminali, persone anziane ma non solo. Parlo anche con due sacerdoti così naturalmente lontani dall’istituzione Chiesa e cosi straordinariamente vicini alle parole del Vangelo. Raccolgo nel corso dei mesi i pensieri di ognuno, le loro riflessioni, finché mi capita d’incontrare e conoscere la madre di una ragazza vittima di mafia e un ergastolano, in carcere ormai già da molti anni. Così inizia a delinearsi più chiaramente la struttura del lavoro.

Sono tre i “quadri” che costruiscono il progetto. Una prima parte, senz’altro la più intima e personale è dedicata alla mia famiglia, a quelli che chiamo “I puri di cuore”, raccontata cercando di attingere a quelle che sono esperienze di vita personale. A veicolare questo mondo è la figura di mia nonna, per me seconda madre, punto d’equilibrio e concretezza di fronte a tante situazioni,  testimone di un mondo più puro, più semplice, più difficile per tante cose ma anche più armonico. E dunque una donna anziana con parole a tratti sconnesse a tratti molto lucide che raccontano il passato e il presente attraverso i volti ingialliti su vecchie fotografie che vengono proiettate nello spazio, quasi fossero le foto dei loculi nei cimiteri. Uno spazio vuoto, abitato solo da quelle presenze. E poi la morte che avviene come liberazione, non come fine.

Poi un’altra storia, per quelli che sono “afflitti e verranno consolati”. La storia di Filippo ergastolano che da molti anni vive in carcere e che passerà la sua vita lì. La sua “misura” della speranza, diventa l’equilibrio per poter sopravvivere in carcere. L’unica finestra verso il fuori è lo studio, il conoscere, il sapere, la musica di Debussy che fa immaginare cieli con voli di uccelli, le lettere che ci scambiamo ormai da tempo e le poche volte in cui io potrò entrare lì dentro. Queste sono le sue uniche forme di speranza, strutturate e misurate secondo uno straziante stratagemma personale che permette di non impazzire in tali condizioni ma di riuscire a guardare ciò che dentro l’inferno non è inferno.

A chiudere questo viaggio dentro l’umanità, ecco l’ultima beatitudine: “beati quelli che hanno fame e sete di giustizia”. La storia di M. madre di M. uccisa a 27 anni dalla mafia prima di poter testimoniare al Maxi processo. Ho conosciuto M. una donna molto forte, che per 18 anni ha vissuto con il peso del silenzio, delle calunnie, dell’omertà e della più totale assenza d’aiuto riguardo alla vicenda di sua figlia. Dopo tutti questi anni, finalmente M. grazie anche a Libera contro le mafie, sta iniziando un percorso per far conoscere la verità.

 

Raccogliere storie significa prendersi in carico la responsabilità verso le persone che s’incontrano. Significa prendersi il tempo per condividerle, abitarle, comprenderle, rispettarle, e trovare il modo delicato, rispettoso ed efficace per poterle riportare. A volte solo un linguaggio più legato alla poesia può accompagnare le vicende degli esseri umani ma è indispensabile un coinvolgimento umano, empatico ed affettivo, da parte di chi cerca e raccoglie, altrimenti anche le più alte parole risultano vane. Queste tre beatitudini sono attraversate anche da immagini che nascono direttamente sulla scena con un sistema di proiezione analogica così come la parte sonora. I materiali sono dunque il video e il suono ma l’integrazione tra i vari elementi e’ tale da amalgamare e confondere le prospettive. La luce e le molteplici proiezioni compongono il paesaggio visivo. I disegni che nascono e si dissolvono nel momento presente creano un continuo movimento e un continuo dialogo tra luce e buio e così anche il suono, prodotto da piccoli oggetti e dalla voce umana che a tratti utilizza microfoni e semplici effetti, diventa musica.

 

Ogni piccola parte di questo nuovo percorso viene trattata e assemblata con cura ed attenzione. Ogni elemento; la voce umana, il testo, le fotografie, gli strumenti costruiti per illuminare lo spazio, gli strumenti usati per costruire il suono, diventano elementi di composizione. Alla base c’è un sentimento di maggiore libertà nell’attuare un percorso narrativo per me nuovo e svincolato dalle forme più classiche del racconto. Resta l’attraversamento in ogni sua parte dell’esperienza, ma cambia il modo di relazionarsi a questo ricco materiale.

 

 

 

 

ARTIST

 

Aida Talliente – (Udine 1978) si diploma all’ Accademia Nazionale d’Arte Drammatica “S. D’Amico” di Roma.

Ricercatrice di storie, autrice e interprete degli spettacoli:

Aisha (un frammento d’Africa)

Primo premio al concorso Premio dodici donne ATCL Lazio

Secondo premio al concorso Premio di Poesia, Prosa e Arti figurative Angelo Musco,Messina

Sospiro d’Anima (la storia di Rosa)

Premio Fringe Festival  2011Napoli

Primo premio A. Landieri 2011 Napoli

Premio speciale Museo Cervi 2011Reggio Emilia

Primo premio al concorso per teatro e musica Ermo Colle 2010Parma

Primo premio al concorso di drammaturgia L. Liegro Roma.

Lady Sings The Blues (l’autobiografia di Billie Holiday) 2011

Miniere

Premio Fringe festival 2012 Napoli

Books AcrossBalkans

Premio Moret d’Aur 2012, progetto in collaborazione con la Biblioteca di Sarajevo

Ginsberg’s Blues  (poesie cantate di Allen Ginsberg) 2013

Ritratto del Leone  (viaggio musicale intorno alla figura di Willie Lion Smith) 2017

Lavora da anni con diversi registi e attori italiani e stranieri: Alfonso Santagata, Davide Iodice, Pier Paolo Sepe, Peter Stein, Maurizio Scaparro, Fabrizio Arcuri, Abel Carrizo Munoz, Lisa Ferlazzo Natoli, Compagnia Biancofango, Giuliana Musso, Daniele Ciprì e Franco Maresco, Marco Maria Puccioni e Tolsen Nater.

Collabora con diverse realtà  teatrali italiane e internazionali (Università di S. Paolo in Brasile , Accademia teatrale di Città del Messico, Università teatrale di Ankara- Turchia, Scuola di danza tradizionale balinese del maestro DewaNgurah a Bali). Lavora in alcuni film TV per la R.A.I. Italiana e tedesca. Lavora come lettrice per la casa editrice“Borelli” di Modena, sezione audiolibri e per diverse trasmissioni radiofoniche locali e nazionali.

Premi:

oltre ai riconoscimenti per gli Spettacoli Sospiro d’anima, Aysha, Miniere, Books Across Balkans

Primo premio nel 2007 al concorso nazionale di teatro La parola e il gesto a Imola.

Premio Moret d’Aur per lo spettacolo Books Across Balkans nel 2012  Udine.

Premio Adelaide Ristori come miglior attrice nel 2013  Cividale del Friuli.

 

www.aidatalliente.it

 

 

Hybrida –  Il progetto Hybrida nasce nel 2003 presso il Centro Europeo di Arti e Comunicazioni Contemporanee “L. Ceschia” di Tarcento (Udine) con l’intento di sviluppare in Friuli Venezia Giulia una realtà che impostasse la propria attività intorno allo studio ed alla promozione della musica contemporanea (Elettroacustica, Elettronica, Jazz e il rock meno omologato) e delle moderne forme di espressione artistica. In tredici anni di attività ha intessuto rapporti con le più fertili realtà nazionali ed internazionali, favorendo la crescita culturale del territorio attraverso concerti, laboratori, conferenze e festival, e divenendo una delle realtà italiane di riferimento per gli artisti in tour di tutto il mondo. L’associazione, approfittando della posizione geografica strategica della regione e cogliendo al volo i fermenti della musica di questi anni, ha organizzato concerti per oltre 500 artisti. Hybrida, in collaborazione con altre associazioni locali, dà spazio a workshops e spettacoli teatrali e organizza inoltre cicli di proiezioni video dedicati a vari generi musicali e artisti contemporanei.
Dal 2007 l’associazione ha iniziato anche a produrre con regolarità performances elaborate in tempo reale tramite proiettori di diapositive, computer, videoproiettori, strumenti autocostruiti e musica nel solco dei lightshows degli anni ’60.
Hybrida è anche titolare dell’omonima etichetta discografica indipendente.
Hybrida Light Show –  E’ una performance eseguita dal vivo concepita per immagini e musica. Scopo di HLS è quello di trasformare lo spazio per mezzo della luce, del colore e del suono.
HLS è una performance in grado di essere riprodotta in ogni tipologia di spazio; non è una performance costruita una volta per tutte, piuttosto, mutuando l’analogia dal linguaggio teatrale, è una sorta di canovaccio sensoriale, che si modifica in relazione al luogo ed al contesto.
HLS è costruita a partire da tecnologie digitali ma si avvale al tempo stesso di metodi e tecniche legati alla tradizione degli spettacoli di luce degli anni ’60 e ’70, quali l’uso di proiettori di diapositive o ancora di fotografie e vecchie pellicole.

www.hybridaspace.org

 

 

 

 

Cosimo Miorelli – CZM (1986) è un illustratore e live-painter digitale. La sua ricerca artistica combina diversi strumenti narrativi, muovendosi tra illustrazione, fumetto, pittura e performance di live-storytelling realizzate in collaborazione con attori e musicisti. CZM ha dipinto dal vivo contribuendo alla creazione di performance multimediali, reading poetici e spettacoli teatrali nell’ambito di eventi, festival e rassegne in Italia, Croazia, Slovenia, Austria, Germania, Danimarca e Portogallo. Ha collaborato, tra gli altri, con autori, musicisti, artisti e scenografi quali Stefano Benni, RAF, Vincenzo Vasi, GiorgioPacorig, LuigiCinque, BadaraSek, LorisVescovo, Saba Anglana, Fernando Mota, Giovanni Maier, Stefano Bechini, Fabrizio Nocci, Ivan Bert, Gup Alcaro, Giorgio Mirto, Leo Virgili, Roberta Lena, Gigio Alberti, Roberto Zibetti e Susanna Boehm. CZM lavora anche alla creazione di video animati per musei e film documentari ed occasionalmente tiene laboratori e dimostrazioni in scuole superiori e università.
I suoi libri illustrati sono editi in Italia da Grifo Edizioni/ Edizioni Di. Vive e lavora tra Berlino e l’Italia.

 

www,cosimomiorelli.com

Attesa…

A volte per cercare, per costruire, per mettere insieme pezzi di materiali bellissimi, occorre prendersi tempo, concentrarsi, sparire, chiudere un cerchio e poi, finalmente, condividerlo con altri occhi.

IO NON HO MANI CHE MI ACCAREZZINO IL VISO è l’ultimo lavoro che abbiamo attraversato insieme, la Compagnia Biancofango (Francesca Macrì e Andrea Trapani) ed io. Tanti mesi di lavoro chiusi in sale buie che hanno però dato vita a qualcosa che trovo bello e delicato. Si parla in qualche modo di un’umanità fragile ma non solo…materiali poetici di diversa natura, s’intrecciano con le figure della Santa Giovanna dei Macelli di Brecht e del Woyzek di Buchner, s’intrecciano con la vita di noi due attori, si mescolano, scivolano fino a non percepire più dov’è il confine tra il dentro e il fuori, tra l’essere umano e il personaggio, tra le proprie parole e quelle di un testo. Sono frammenti di situazioni, quadri, immagini e suggestioni dove, finalmente, si smette di condurre il pubblico “per mano” fino alla fine. A ognuno la possibilità di “stare” liberamente dentro un percorso non narrativo.

L’1 e 2 novembre saremo a Roma Europa Festival e poi Elfo Puccini a Milano. E nel frattempo non starò ferma…

In questi mesi estivi ci saranno degli appuntamenti letterari: un ritratto su Boris Vian insieme a Mirko Cisilino, Marzio Tomada e Emanuel Donadelli, la presentazione del bellissimo libro di Patrizia Fiocchetti “Donne combattenti in Iran, Kurdistan, Afghanistan” e la presentazione del nuovo libro del fotografo Danilo De Marco sulle “Mondine d’Africa”, le raccoglitrici di alghe.

E intanto La nostra Carovana artistica continua a muoversi e a seminare la storia di Samad Behranji per tentare di riportarla nei luoghi in cui è nata: l’Iran.

E poi e poi…nel 2018 ci rivediamo nei teatri o dove sarà, con la prossima nuova storia da raccontare…

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