13 agosto ore 21.00 Istituto G. B. Tiepolo via del Pioppo 61 Udine
voce, suoni, effetti Aida Talliente
fender rhodes, organo, synth korg ms 20 Giorgio Pacorig
video animation Cosimo Miorelli
Tratto da ‘Ritratto del Leone Willie “The Lion” Smith’ di Amiri Baraka
Una produzione Hybrida Space e Aria Teatro
“Li ho suonati tutti
barrel house, ragtime, blues,
dixieland, boogie woogie, swing,
bebop, bop, persino classica.
Non fa la minima differenza
il nome che i critici o i giornalisti musicali
ci appiccicano sopra.
E’ tutta musica ed è tutta un’espressione dell’animo umano”.
Willie “The Lion” Smith
RITRATTO DEL LEONE
“Ragtime significa: musica suonata da chi non conosce la tastiera del piano. Il suonatore di ragtime stuzzica i tasti facendo ciò che gli viene in mente perché è fanatico, presuntuoso e molto aggressivo, fino a quando non arriva qualcun altro e si mette a suonare davvero. Allora egli diventa docile come un agnello. Ora, la differenza tra il suonatore di ragtime e un pianista vero, sta nell’aver dimestichezza con le progressioni e il sapersi muovere con entrambe le mani”.
Willie “The Lion” Smith, il suo piano, la sua musica, le sue funamboliche esecuzioni e non solo, raccontate attraverso quadri sonori, in cui le sue parole, la poesia di Amiri Baraka,i rumori dell’ambiente e una musica che a volte arriva all’urlo, costruiscono situazioni diverse, frammenti di vita. Un film sonoro in cui le sue composizioni vengono “usate” in modo libero; scomponendole, rielaborandole e intrecciando stili diversi dal blues al ragtime e all’elettronica, cosi come lui faceva con ogni melodia.
Tutto questo ci apre una domanda a cui non abbiamo ancora trovato risposta: “Ma cosa abbiamo mai tanto da urlare se urlare, il più delle volte, non serve a niente?”
Il mondo sarà sempre pieno di cinguettatori, ruttatori, saltimbanchi e vecchi cialtroni con i loro pifferi rotti a scorrazzare per le strade delle città.
27 agosto ore 21.00 – Toti ricreatorio comunale via del Castello 3, Trieste
info: www.facebookFestivalapprodi.com
costo biglietti euro 20 acquistabili direttamente sul posto
Aida Talliente voce
Mirko Cisilino tromba/trombone
Filippo Orefice sax tenore/clarinetto
GFrancesco De Luisa Piano
Simone Serafini contrabbasso
Alessandro Mansutti batteria
“Mi hanno detto che nessuno canta la parola “fame “e la parola “amore” come la canto io. Sarà perché so cosa hanno voluto dire queste parole per me; e quanto mi sono costate…”
Una donna. Un gruppo di musicisti seduti accanto a lei. Vecchi microfoni, vecchi dischi sparsi, sedie accatastate, bicchieri qua e là. Una scritta luminosa che scende dall’alto: “ON AIR”. Siamo in un luogo intimo, una stanza, forse la sala di una vecchia radio anni 50. Dalla penombra e dal silenzio nasce una musica, una canzone suonata da un giradischi. E’ “Strange Fruit” di Billie Holiday. Ad un tratto si sentono alcune parole confuse, un colpo di tosse e la risata di una voce roca, rotta. E’ lei che parla: la donna.
“Il mio più grande sogno è…”, così la donna inizia il suo racconto, come fosse l’ultima intervista, l’ultimo “canto” della sua vita. Il racconto parte dalla fine, come un viaggio a ritroso nel tempo attraverso i suoi ricordi passati e dopo questo breve inizio è la musica della band a strappare il silenzio e ad accompagnarci nei sobborghi di Baltimora, nei jazz club di tutta New York, nelle città da una costa all’altra dell’America e negli anni tormentati delle violenze razziali. Attraverso parole ruvide e confidenziali la donna parla al pubblico, parla ai suoi musicisti che costantemente dialogano con lei attraverso i loro strumenti, ride, si commuove, racconta di sua madre e di suo padre, dei successi, dei suoi amori vissuti come su un campo di battaglia, delle droghe, di tutti i penitenziari in cui è stata rinchiusa più volte. Racconta con rabbia delle ingiustizie razziali, dei linciaggi e di quei “frutti amari”, quegli “strani frutti” che pendevano dagli alberi del Sud. E’ dentro questo mondo che nasce la voce di Billie Holiday, quella voce che più di ogni altra è riuscita a raccontare con sincerità ogni sorta di esperienza vissuta. Quella voce così “meravigliosamente umana” e piena di franchezza che diventa l’urlo di un cane randagio, l’urlo dell’amore e della fame, l’urlo di ogni cicatrice che segna il corpo e il cuore, l’urlo delle tante strade percorse. Urlo e Canto divisi da una linea molto sottile, ed è dentro questa linea che nasce fragile e bellissimo il suo blues.
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